Articolo pubblicato su mondodiritto.it.
La presenza sul web di una informazione datata deve essere bilanciata con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte si pronuncia nuovamente sull’annoso problema del rapporto tra il diritto di cronaca della testata giornalistica ed al diritto alla riservatezza della persona che si trovi ad esserne protagonista, ripercorrendo le sentenze più importanti sui rapporti tra diritto all’oblio e diritto di cronaca o di manifestazione del pensiero.
La vicenda
La vicenda prende le mosse dal ricorso di un cittadino che si riteneva pregiudicato nell’immagine perchè a causa della permanenza in rete di un articolo di stampa con cui si richiamava un fatto di cronaca giudiziaria che lo aveva visto patteggiare la pena per una imputazione penale di frode in pubbliche forniture, sostituzione di persona e falso in atto pubblico, digitando il suo nome e cognome sul motore di ricerca “Google Italia” ed altri, si otteneva come primo risultato il link all’articolo giornalistico in questione, presente nell’archivio on line della testata giornalistica.
Il Tribunale di Pescara aveva accolto la domanda valorizzando il dato certo della persistenza in rete dell’articolo in questione e ritenendo illegittimo il fatto che i dati personali del ricorrente, già oggetto di notizia di cronaca fossero rimasti memorizzati nella rete Internet, senza l’osservanza dei criteri che ne avrebbero consentito il lecito trattamento.
La finalità di cronaca giornalistica si era infatti esaurita con la sentenza di patteggiamento, in mancanza di qualunque altro nuovo elemento che potesse valere ad attribuire attualità alla notizia.
Alla persona, cui si riferivano i dati personali oggetto di trattamento, doveva riconoscersi il diritto all’oblio a tutela dell’immagine; diritto che poteva tradursi, oltre che nella contestualizzazione e aggiornamento della notizia di cronaca, anche, se del caso, nella relativa cancellazione, in difetto di un persistente interesse pubblico alla conoscenza.
Excursus giurisprudenziale
Di particolare interesse la pronuncia in commento per l’excursus giurisprudenziale che essa traccia del diritto all’oblio inizialmente inteso quale diritto del singolo a non vedere pubblicata nuovamente una notizia in passato legittimamente divulgata e poi interpretato, con lo sviluppo di internet, quale diritto alla “protezione dei dati personali” e alla cancellazione dei dati che si ritengono lesivi della propria persona in quanto non più attuali.
Con la sentenza del 22 dicembre 1956 n. 4487 la Corte di Cassazione chiariva che il diritto alla riservatezza non poteva trovare tutela giuridica nell’ordinamento italiano: “il semplice desiderio di riserbo non è stato ritenuto dal legislatore un interesse tutelabile; chi non ha saputo o voluto tener celati i fatti della propria vita non può pretendere che il segreto sia mantenuto dalla discrezione altrui; la curiosità ed anche un innocuo pettegolezzo, se pur costituiscono una manifestazione non elevata dell’animo, non danno luogo di per sè ad un illecito giuridico” (Cass. n. 4487 cit.).
Pochi anni dopo (Cass. 20/04/1963 n. 990) con chiaro richiamo ai contenuti dell’art. 2 Cost.vi è un primo riconoscimento del divieto di divulgare notizie attinenti alla vita privata dell’individuo, “a meno che non sussista un consenso anche implicito della persona, desunto dall’attività in concreto svolta, o, data la natura dell’attività medesima o del fatto divulgato, non sussista un prevalente interesse pubblico di conoscenza“.
Successivamente il diritto alla riservatezza si è trasformato nel senso di ricomprendere “situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro, non siano tuttavia giustificate da interessi pubblici preminenti” Cass 10/12/1975 n. 2129.
Il diritto all’oblio, nato come “right to be let alone” o diritto ad essere lasciati da soli, espressivo di una tutela che si realizza a mezzo della non menzione della vicenda personale – per una nozione negativa e statica che, più propriamente accostabile al “segreto” e sorretta dall’interesse ad impedire che terzi vengano a conoscenza della notizia, si traduce nel diritto di escludere l’ingerenza di una estranea conoscibilità e pubblicità della sfera dell’intimità propria della persona – si sposta, quanto al suo baricentro, verso l’interesse alla riservatezza o riserbo che preclude la divulgazione e la pubblicizzazione della notizia, nel rilievo che la lesione del diritto alla riservatezza, portato dei mezzi ai diffusione di massa, legittima l’interesse al ricorso a strumenti di tutela oggettiva fondati sul controllo delle modalità e delle tecniche di acquisizione della notizia (in tal senso: Cass. n. 5658 del 9/06/1998).
Con il codice della privacy contenuto nel Testo Unico emanato con il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”), di riordino della materia, tenuto conto di quanto disposto dalla direttiva CE 2002/58 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, la finalità diviene quella di garantire che la gestione di dati personali o sensibili da parte di privati o enti pubblici avvenga ne rispetto dei diritti e delle liberta? fondamentali della persona per un rapporto di chiara strumentalità della prima ai secondi.
Si afferma in tal modo una visione del diritto alla riservatezza che, connotata da dinamismo, meglio si declina come diritto alla protezione dei dati personali, destinato ad operare oltre la sfera della vita privata, con garanzia all’individuo dell’autodeterminazione decisionale e del controllo sulla circolazione dei dati, in una prospettiva che è quella del diritto alla protezione dell’identità personale nei diversi contesti di vita.
Il diritto all’oblio condivide con il diritto alla riservatezza la comune matrice di diritto della personalità e, come il primo, si sviluppa in rapporto all’esercizio del diritto di cronaca, dettato a servizio dell’interesse pubblico all’informazione, per un giudizio di bilanciamento in cui gli interessi coinvolti, di rilevanza costituzionale e convenzionale (art. 21 Cost.; art. 2 Cost.; art. 8 Cedu; artt. 7 e 8 della cd. Carta di Nizza), trovano composizione, di volta in volta, in relazione al singolo caso concreto, con prevalenza ora dell’uno ora dell’altro (in siffatta prospettiva, da ultimo: Cass. SU 22/07/2019 n. 19681; Cass. 20/03/2018 n. 6919), in una visione cui non sono estranei lo sviluppo tecnologico raggiunto e la capacità delle nuove tecniche di veicolazione adottate per la diffusione della notizia (Cass. 27/03/2020, n. 7559, par. 5.3.1.).
Il diritto all’oblio, a differenza del diritto alla riservatezza, non è volto a precludere la divulgazione di notizie e fatti appartenenti alla sfera intima della persona e tenuti fino ad allora riservati, ma ad impedire che fatti, già legittimamente pubblicati, e quindi sottratti al riserbo, possano essere rievocati nella rilevanza del tempo trascorso.
Al venir meno dell’attualità della notizia e dell’utilità sociale della prima pubblicazione, si accompagna il vincente rilievo che lo scorrere del tempo modifica la personalità dell’individuo e la ripubblicazione di una notizia già divulgata in un lontano passato può avvalorare una immagine della persona diversa da quella al momento esistente, con lesione della identità personale e della reputazione che alla nuova immagine si accompagna.
Il diritto ad essere dimenticati (right to be forgotten) per i menzionati contenuti consiste, pertanto, nel diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, per la ripubblicazione, a distanza di tempo, di una notizia relativa a fatti commessi in passato o a vicende nelle quali si è rimasti in qualche modo coinvolti.
Solo con il Regolamento europeo 679/2016 (gdpr) il riferimento al diritto all’oblio diviene espresso e trova la sua definitiva collocazione espressa tra i diritti dell’interessato all’art. 17 ove, nel primo paragrafo, lett. f), viene introdotto un espresso riferimento al diritto all’oblio, chiarito nel suo portato dal Considerando n. 65 là dove esso è menzionato, tra parentesi, in una disposizione dedicata alla “cancellazione” dei dati personali.
Sugli obblighi dei gestori di motori di ricerca per la tutela de dati personali delle persone che non desiderano l’indicizzazione e pubblicazione in modo indefinito di alcune informazioni la sentenza in commento cita la nota, ed ampiamente dibattuta, sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea pronunciata nella causa C-131/12 (Google Spain SL, Google Inc. G. Agenda Espanola de Proteccion de Datos (AEPD), Mario Costeja Gonzalez), il 13 maggio 2014,
Con essa i giudici di Lussemburgo hanno individuato nel gestore di un motore di ricerca o Internet Service Provider (ISP) il “responsabile” del trattamento dei dati personali nell’ambito delle sue responsabilità, competenze e possibilità (punti 38 e 83 della sentenza 13 maggio 2014 cit.) e come tale chiamato, quindi, rispetto all’attività sua propria di indicizzazione dei risultati, e non di pubblicazione dei contenuti, ad assicurare il rispetto delle prescrizioni della direttiva 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati.
Tanto vale nel rilievo che “il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma deve, come sottolinea il considerando 4 di detto regolamento (2016/679), essere considerato in relazione alla sua funzione sociale ed essere bilanciato con altri diritti fondamentali, conformemente al principio di proporzionalità” e tanto nella premessa che “l’art. 17, paragrafo 3, lettera a), del regolamento 2016/679 oramai preveda espressamente che è escluso il diritto dell’interessato alla cancellazione allorchè il trattamento è necessario all’esercizio del diritto relativo, in particolare, alla libertà di informazione, garantita dall’art. 11 della Carta (punto 57 della sentenza, 24 settembre 2019 n. 136).
Definizione di diritto all’oblio
Ne discende la defizione di diritto all’oblio come “diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, per la ripubblicazione – a distanza di un importante intervallo temporale destinato ad integrare il diritto ed al cui decorso si accompagni una diversa identità della persona – o il mantenimento senza limiti temporali di una notizia relativa a fatti commessi in passato, che nella sua versione dinamica consiste nel potere, attribuito al titolare del diritto, al controllo del trattamento dei dati personali ad opera di terzi responsabili“;
Ebbene, nel caso concreto, gli Ermellini hanno individuato il punto di bilanciamento tra il diritto del singolo all’oblio e quello della collettività all’informazione ritenendo che “In materia di diritto all’oblio là dove il suo titolare lamenti la presenza sul web di una informazione che lo riguardi – appartenente al passato e che egli voglia tenere per sè a tutela della sua identià e riservatezza – e la sua riemersione senza limiti di tempo all’esito della consultazione di un motore di ricerca avviata tramite la digitazione sulla relativa query del proprio nome e cognome, la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, e può trovare soddisfazione, fermo il carattere lecito della prima pubblicazione, nella deindicizzazione dell’articolo sui motori di ricerca generali, o in quelli predisposti dall’editore“.
In conclusione, la Suprema Corte, dopo aver esaminato le principali pronunce in materia, accoglie il ricorso, cassando la sentenza impugnata dalla ricorrente, editore del quotidiano on-line, e rinviando il giudizio al tribunale territoriale, stabilendo che quest’ultimo, che con l’impugnata sentenza ha disposto la cancellazione della notizia giornalistica, ha mancato di fare applicazione degli indicati principi, e segnatamente:
a) in via preliminare, non ha accertato se l’intervallo di tempo intercorso pari ad un anno ed otto mesi, circa, tra la pubblicazione della notizia relativa all’iniziativa giudiziaria del ricorrente, oggetto di notizia giornalistica e il deposito del ricorso in primo grado per ottenere la sua cancellazione, integrasse, o meno, il fattore tempo, presupposto del diritto all’oblio;
b) in via ulteriore, all’esito dell’eventuale positivo accertamento sub a), non ha provveduto ad giudizio di bilanciamento tra i diritti in gioco, omettendo di verificare rispetto alla notizia giornalistica di nuovo resa o mantenuta visibile sul web ad una consultazione dei motori di ricerca all’epoca di introduzione del giudizio, la ricorrenza del diritto all’oblio oppure di perduranti e prevalenti diritti di cronaca giudiziaria o di documentazione ed archiviazione;
c) in quest’ultima prospettiva non ha accertato i profili di applicabilità della misura della deindicizzazione della notizia dai motori generalisti quale rimedio sufficiente e, in correlazione a ciò, i profili di eventuale responsabilità dell’editore in proposito.